Allevare una tarantola è diventato un fenomeno per certi versi di moda alcuni decenni fa, probabilmente sull’onda di un grande successo cinematografico che il ragno aveva conquistato sulle scene dei film horror.
Anche se molti di essi erano sicuramente prodotti artistici di bassa o bassissima qualità, ciò ha contribuito a far si che la tarantola entrasse, a pieno diritto dentro le case di molti appassionati di allevamento di animali, sebbene per alcuni ciò possa sembrare profondamente repellente.
Naturalmente non si parla dell’allevamento del piccolo aracnide comune in Salento e nelle altre regioni dell’Italia Meridionale e delle coste del Mediterraneo, troppo piccolo, e forse anche un pochino “sfuggente” per diventare il preferito dei novelli allevatori.
Piuttosto a finire in terrari, gabbiette e teche in vetro sono stati gli esemplari di “tarantola” provenienti dai paesi asiatici e soprattutto dal continente sudamericano, dove il ragno raggiunge proporzioni anche notevoli: scientificamente, più che di tarantole, si tratta di una famiglia parallela, quella delle migali.
Se da un lato tale passione può avere, a ben guardare, anche dei risvolti positivi, primo tra tutti la possibilità di arginare tante delle legende intorno a questi animali, per la maggior parte innocui per l’uomo al pari di vespe, api e calabroni, dall’altra ha provocato un effetto negativo perchè, oltre ai ragni allevati allo scopo, e quindi “ammaestrati” a vivere in cattività, la forte domanda ha provocato la razzia di esemplari di ragno catturati in natura strappandoli al loro ambiente naturale per farli finire in gabbia, cosa che, per la maggior parte di essi, coincide con una lunga e terribile agonia.