Il rituale del tarantismo è antico quanto la presenza delle prime comunità umane nel bacino del mediterraneo, e la prova di ciò è nella stessa modalità in cui esso si esprime, in cui si possono agevolmente rinvenire tratti tipici di analoghe manifestazioni di carattere spirituale e magico, che ancora oggi fanno parte del patrimonio dell’umanità in tutte le latitudini.
Un profondo legame con gli aspetti oscuri e magici del rapporto dell’uomo con l’ambiente circostante, dove magia e simbolizzazione di elementi naturali, in questo caso il piccolo ragno che si aggira nelle campagne, responsabile al massimo di una innocua puntura, servono per rappresentare antiche ed ancestrali paure dell’uomo, ed uno dei più antichi modi di esorcizzarle, attraverso la musica e la danza.
Per questa ragione già agli albori della scienza medica e della scrittura si hanno documenti che attestano della volontà dei letterati degli scienziati e degli intellettuali di descrivere un rito così antico, cercando di spiegarne le ragioni e le modalità in cui si esprimeva.
Nel 1362 tale Guglielmo Marra da Padova del 1362, racconta che una credenza popolare voleva che il ragno cantasse dopo aver punto la sua vittima e che questo fosse il motivo per cui proprio la musica servisse per alleviare le pene del tarantolato.
Nella metà del ‘400, Johannes Tinctoris, cita la questione dei tarantolati nel suo tentativo di dimostrare gli effetti terapeutici della musica, ed il famoso alchimista tedesco Cornelio Agrippa cita i tarantati pugliesi quando vuole dimostrare la forza ed il potere della musica sull’uomo.
Anche gli umanisti si occuperanno di descrivere il fenomeno dei tarantolati, come l’umanista Antonio De Ferrariis nel 1513.
Ed ancora più prossimo all’epoca dei lumi, un medico e scienziato, Giorgio Baglivi, scrive nel 1695 un intero trattato sul tema: “De Tarantula”.